🛤 1. La mappa parla chiaro: tracciato tra Israele e Cisgiordania

Le versioni ufficiali del tracciato IMEC fingono di “passare a nord” della Cisgiordania, evitando il problema sulla carta. Ma nella realtà, ogni collegamento strategico tra Israele e Giordania impatta o sfiora aree militarizzate e territori contesi, rendendo il corridoio inapplicabile logisticamente e pericoloso politicamente.
Le mappe ufficiali del progetto IMEC, svelate al G20 di New Delhi (settembre 2023), mostrano il corridoio che attraversa direttamente Israele e la Cisgiordania, passando per aree militarizzate, checkpoint blindati, muri e posti di blocco
[fonti: middleeasteye.net, ecfr.eu, 20cube.com].
Infatti, il tracciato previsto dal progetto IMEC dovrebbe attraversare proprio il territorio tra Israele e Cisgiordania – un’area sotto occupazione militare di Tel Aviv e con una linea di confine che Israele intende trasformare in una barriera fortificata e impenetrabile. In altre parole, si vorrebbe far passare, con una guerra in corso, un corridoio commerciale ad alta capacità tra checkpoint, muri, basi militari e una delle frontiere più calde del pianeta. Un’idea semplicemente assurda, logisticamente suicida e politicamente tossica.
💼 2. Investimenti incerti: tante parole, nessuna cifra concreta
L’accordo di principio (MoU) è stato sottoscritto da USA, UE, India, Arabia Saudita, Emirati, Francia, Germania e Italia, ma non prevede impegni finanziari concreti
[fonti: 20cube.com, nextias.com].
Nonostante l’UE abbia un fondo “Global Gateway” da 300 miliardi di euro, nessun euro è stato impegnato per IMEC
[fonti: fotisedu.com, euromesco.net, researchgate.net].
L’analisi del RIS e il dossier EUISS definiscono IMEC come un “framework geopolitico”, sottolineando l’assenza di fondi puntuali o progetti operativi.
🇮🇹 3. Trieste sul palco, senza regia
Tajani ha annunciato la “grande conferenza nazionale a Trieste” e nominato un Inviato per la “Cotton Route”. Tuttavia:
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Dipiazza, Paoletti and friends, pur presenti alle foto ufficiali, non hanno alcuna competenza reale su corridoi intercontinentali: sorridono, ma non sanno nemmeno dove passerebbe la linea. La stessa cosa – va detto – vale anche per il resto della “classe politica” italo – triestina.
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Lo Stato italiano non riconoscerà né attiverà mai il Porto Franco Internazionale di Trieste, che sarebbe – paradossalmente – l’unico strumento strategico vero in mano all’Italia.
Ma il nodo è politico, non logistico: chi comanda i flussi, gli investimenti e le regole del gioco? A oggi, non certo Trieste né l’Italia. Il Porto è frammentato tra interessi privati, terminal concessionati a multinazionali come MSC, operatori cinesi, un’area vasta come metà del Porto Vecchio blindata dall’Ungheria, mentre la cornice giuridica internazionale – quella del Porto Franco del Territorio Libero – viene ignorata o negata. Senza sovranità reale sulle infrastrutture, Trieste non può che restare un fondale per strategie decise altrove.
RISULTATO? Trieste diventa una scenografia mediatica, non un nodo di potere logistico.
🔥 4. Guerra, muri e zero stabilità
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La guerra a Gaza e l’occupazione israeliana della Cisgiordania blocca ogni possibilità di normalizzazione politica.
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L’Arabia Saudita non ha ancora normalizzato con Israele, condizione cruciale per la tenuta diplomatica dell’intero corridoio.
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⚖️ 5. Belt & Road: una rete operativa, non una brochure
La Cina ha rotte già funzionanti che collegano Asia ed Europa via treno (Kazakhstan) e via mare (Mar Nero), con decine di miliardi già investiti. IMEC, al confronto, è un pitch PowerPoint: senza cantieri, senza soldi, senza basi legali.
☢️ 6. Meglio così: olezza di NATO a chilometri
Diciamolo chiaro: per fortuna questa “Via del Cotone” resta sulla carta.
Dietro la retorica commerciale si intravede chiaramente una linea strategico-militare, pensata per l’interoperabilità tra eserciti e logistica da teatro bellico.
Un’infrastruttura che servirebbe a ben altro che scambi civili: si sente odore di NATO a chilometri di distanza.Un corridoio del cotone che sa di polvere da sparo e napalm, in pieno stile guerra fredda 2.0.
In mezzo: un caleidoscopio di attori imprevedibili (Iran, Libano, Giordania), nessuno disposto a veder passare un treno “pacifico” con etichetta NATO.
Benvenuti sulla rotta strategica del secolo. Altro che corridoio economico: sembra l’ingresso di un carcere, non di una zona logistica. Questa è la “via della connettività” secondo Tajani.
📄 Documenti ufficiali a supporto
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IMEC Report (RIS) – analisi infrastrutturale e scenari geopolitici
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EUISS Brief “From Hype to Horizon” – valutazione delle lacune politiche, finanziarie e logistiche
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MoU firmato al G20 – Stati europei, USA, India, EAU, Arabia Saudita
[fonti: foreignpolicy.org.tr, kapsarc.org, 20cube.com] - Background Note (RIS) con stime su investimenti (>500 mld $), riduzione tempi/costi e impatti economici.
🔺 Ultimo ma non per importanza:
L’Italia sta operando illegalmente su un’entità statale estera: il Territorio Libero di Trieste, che non è mai stato legittimamente annesso. L’inclusione del porto di Trieste nel progetto IMEC – senza alcun mandato internazionale – viola il Trattato di Pace del 1947 e configura un caso lampante di ingerenza coloniale mascherata da politica economica.
🔚 Conclusione: squallore strategico
Tajani mette in scena il suo teatrino diplomatico, ma nessuna delle domande fondamentali ha risposta:
Chi paga? Chi comanda? Chi ci guadagna davvero?
Trieste, con i suoi amministratori locali inconsapevoli, viene usata come fondale e tappeto rosso, non come cabina di regia.
La “Via del Cotone” è soltanto una trovata propagandistica, con un tracciato che attraversa uno dei confini più militarizzati del mondo.
Un fallimento annunciato, spacciato per opportunità.
Tajani conosce davvero lo status giuridico del Porto Franco internazionale di Trieste? Lo comprende fino in fondo?
Perché se lo conosce, allora siamo di fronte a un atto di dissimulazione consapevole.
E se non lo conosce, è ancora peggio.
Un fallimento annunciato, come tutto quello che l’Italia ha fatto a Trieste dal 1954 in poi.
– Alessandro Gombač –