Una volta avevamo le carte. Quelle vere: i trattati, le sentenze internazionali, le prove materiali dell’anomalia giuridica più solida del dopoguerra. Avevamo anche i numeri: più iscritti di tutti i partiti italiani messi assieme. Avevamo la verità dalla nostra, e perfino un certo rispetto. Avevamo l’ONU che smentiva pubblicamente chi scriveva sul Piccolo che non potevamo esibire la sua bandiera. Avevamo Vladimir Putin che arrivava con undici ministri al seguito a concludere un vertice bilaterale con l’Italia proprio a Trieste, e il premier Enrico Letta che, prima di partire, salutava con un “Viva Trieste, Trieste libera”.
Poi qualcosa si è rotto.
Adesso, dopo dieci anni, ci ritroviamo con la dodicesima carta universale, edizione Stato Galattico Autogestito. Un altro documento fai-da-te degno di una fiera del cosplay geopolitico, con timbri colorati e frasi in inglese maccheronico per confondere il doganiere e impressionare la zia. E ci ritroviamo con cause civili strapagate da oltre 600 devoti della giustizia fai-da-te, convinti di comprare la libertà al prezzo di un ricorso. Abbindolati da una versione casereccia di Wanna Marchi e Do Nascimento, ma in salsa giuridico-fantapolitica.
E ora, sorpresa: ci considerano innocui. E ridicoli. E questi sono due eufemismi.
La verità è che l’indipendentismo triestino ha smesso da tempo di parlare al mondo e ha cominciato a parlare allo specchio. Ha sostituito la forza del diritto con il diritto alla farsa. Ha barattato l’autorevolezza con l’autoreferenzialità. Per ogni dossier alle Nazioni Unite ce n’erano tre spediti alla buca delle lettere della fantasia.
E mentre qualcuno si improvvisava scriba della liberazione planetaria, sfornando certificati di sovranità come se fossero tessere del supermercato, c’era anche chi, nel frattempo, si convinceva che l’Allegato VIII del Trattato di Pace potesse essere applicato… a geometria variabile. Tipo certi portuali, che scoprirono l’extraterritorialità solo quando c’era da non pagare l’IRPEF, salvo poi dimenticarsene appena varcato il varco 4. Peccato che, checché ne dicano, sia uscendo verso l’Italia che uscendo verso il TLT, l’imposta sul reddito la dovresti comunque versare. A meno che non abiti in una fantasia fiscale autonoma — e credi pure che saranno gli altri cittadini di Trieste a pagarti l’asfaltatura delle strade, gli asili, l’asporto dei rifiuti e magari anche la pensione, mentre tu ti proclami “non soggetto” al fisco.
Il risultato? Non è che restavamo fermi. Ci scannavamo. In guerra tra bande sfigate. Con faide personali degne di un centro sociale occupato sotto metadone. E nel frattempo, il mondo andava avanti. E qualcuno si specializzava nel vendere biglietti di prima classe per un volo immaginario.
Non serve un tribunale per dire che questo è un suicidio politico. Basta il buon senso. Quello che avevamo all’inizio. Quello che abbiamo smarrito per strada. Quello che, forse, possiamo ancora difficilmente ritrovare.

Conferenza ufficiale sulla “presentazione operativa” del Passaporto Mondiale del Territorio Libero di Trieste, a cura del Centro Studi Diritti Umani. Tra un corso in 5 step e una “delucidazione” sulla sovranità planetaria, l’informazione non manca. Il confine fra farsa e setta, invece, sì.
A una condizione: che a riaprire il dossier Trieste non siano gli sciamani del sovranismo da tastiera, ma i soggetti giuridici internazionali che l’hanno aperto — e mai chiuso. Perché il nostro destino è stato deciso a Vienna, Parigi, Londra, Mosca, Washington e New York. Non nelle stanze segrete di qualche setta — né in quei bar dove si fanno repubbliche con il gratta e vinci.
– Alessandro Gombač –