Trieste, 18 ottobre 2021: lacrimogeni e avanzata delle forze dell’ordine nell’area urbana antistante al varco 4 del Porto Franco internazionale.
Trieste ha questa caratteristica antica: puoi provare a dimenticarla, a rimuoverla, a dichiararla “questione chiusa”, ma si rimaterializza sempre in forma di dossier lasciato aperto su un tavolo ministeriale — e anche su quelle scrivanie estere dove l’incerto status di Trieste non è mai stato archiviato.
È, da settant’anni, il ritorno del rimosso nella politica italiana.
E ogni volta che ritorna, pesa più della volta precedente.

Trieste, 18 ottobre 2021: gli idranti avanzano dall’interno del Porto Franco internazionale, area demilitarizzata ed extraterritoriale secondo il Trattato di Pace del 1947.
Il 18 ottobre 2021, davanti al varco 4 del Porto Franco internazionale, tra idranti, lacrimogeni e camionette, è riemersa la domanda che l’Italia evita da settant’anni: che cosa siete andati a fare, armati, dentro un porto demilitarizzato, in un Territorio che giuridicamente non vi appartiene?
Domanda semplice.
E come tutte le domande semplici, è quella che fa più paura.
Un senatore, un atto ufficiale, e un silenzio che pesa più di una risposta
Pochi lo ricordano — molti preferiscono non ricordarlo — ma in quei giorni un senatore della Repubblica, Gianluigi Paragone, presentò un’interrogazione parlamentare scritta ai ministri dell’Interno, della Difesa e degli Esteri.
Il testo? Redatto da TRIEST NGO e rifinito dall’avvocatura del Senato.
Quindi inattaccabile, verificabile, istituzionale.
E qui vale la pena ricordare un dettaglio che la dice lunga:
fu Paragone stesso a chiederci il testo dell’interrogazione.
La portò all’avvocatura del Senato per la revisione formale e — diciamolo — noi, per esperienza, eravamo pronti al peggio: tagli, annacquamenti, la classica “decaffeinatura” preventiva quando un testo tocca nervi scoperti dello Stato.
Invece accadde l’opposto.
Non solo l’avvocatura non tagliò nulla, ma mise mano qua e là per rafforzarne il contenuto, puntualizzando alcuni riferimenti legali e irrigidendo certe formulazioni — paradossalmente a nostro favore.
Restituirono il documento così com’era — solo più solido.
E Paragone lo presentò esattamente in quella forma, senza cambiare una virgola.
Non era un comunicato, non era protesta:
era un atto del Parlamento italiano che metteva sul tavolo lo status giuridico del Free Port e del Territorio Libero di Trieste.
Roma non ha mai risposto.
Non per indifferenza.
Non per mancanza di tempo.
Fu il silenzio del panico, quello che scatta quando in Parlamento arriva un documento rovente che nessuno vuole toccare neanche con i guanti.
Paragone lo confidò: dopo il deposito dell’interrogazione, nei corridoi scese un gelo improvviso.
Sguardi bassi, telefoni muti, e il famoso silenzio assordante della Capitale.
Non perché il testo fosse estremo.
Perché era fondato.
Le domande che nessuno vuole vedere su un tavolo

Ottobre 2021 – manifestanti pacifici davanti al Porto Franco internazionale di Trieste: nessuna minaccia, nessuna violenza, e nessuna autorizzazione ONU all’uso della forza.
Cinque domande semplici, devastanti.
Più pesanti adesso che nel 2021.
1. Siete consapevoli dello status giuridico del Porto Franco internazionale?
Tradotto: sapete almeno dove vi trovate?
2. Avete chiesto al Consiglio di Sicurezza ONU l’autorizzazione per usare la forza in un’area extraterritoriale?
La risposta è no.
E già questo basterebbe.
3. Su quale base giuridica avete consentito l’ingresso di forze armate in un porto demilitarizzato dal Trattato di Pace?
Nessuna autorizzazione ONU è mai esistita.
4. Il Commissario del Governo ha agito come prefetto italiano o come amministratore di un Territorio mai annesso?
Una domanda che da sola fa tremare i ministeri.
5. Le forze di polizia erano consapevoli di trovarsi sotto l’egida del Consiglio di Sicurezza?
Qui si apre il bivio:
incompetenza o violazione deliberata.
Cinque domande.
Cinque minuti per rispondere.
Ma al Viminale e alla Farnesina non si è trovato neppure un funzionario — nemmeno uno con contratto a termine — disposto a firmare una riga.
In politica, come nella vita, il silenzio è una risposta.
Spesso la più compromettente.
Perché oggi questa interrogazione pesa come piombo
Nel 2021 Roma poteva rifugiarsi nel clima di emergenza — amplificato dalla psicosi pandemica del momento.
Nel 2025 non più.
Il mondo è un’altra cosa:
- la Cina ridisegna le rotte euroasiatiche;
- gli Stati Uniti tentano di militarizzarle con l’IMEC;
- l’Ungheria si è già presa un pezzo di porto e un pezzo di potere;
- la Serbia guarda Trieste come al proprio mare naturale;
- la Russia osserva ogni incrinatura dell’ordine del ’45.
In questo scenario, l’interrogazione Paragone diventa prova documentale di tutto ciò che nessun governo italiano osa dire:
- Il Territorio Libero di Trieste non è chiuso: è sospeso.
- Il Porto Franco è sotto tutela ONU, non italiana.
- La demilitarizzazione non è mai stata revocata.
- L’Italia esercita un potere che non può giuridicamente giustificare.
L’Italia ha paura di queste domande — e ha ottimi motivi
Perché rispondere significherebbe:
- ammettere che il Memorandum di Londra non ha modificato il Trattato di Pace;
- spiegare l’uso illegale delle forze armate nel Porto Franco;
- riconoscere che l’ONU non è mai stata consultata.
E soprattutto vorrebbe dire accettare che Trieste non è folklore locale, ma un contenzioso internazionale aperto, con potenziali futuri (?) effetti facilmente immaginabili per l’intera area sud-est dell’Europa.
Chi governa lo sa:
ci sono verità che non si rispondono, si evitano.
2025: il dossier ritorna. E non per caso.
Quell’interrogazione non è invecchiata.
È rimasta lì, immobile, come una mina politico-giuridica.
Perché Trieste è — da settant’anni — il ritorno del rimosso: la verità scomoda che lo Stato tenta di archiviare, e che invece torna in superficie quando meno se l’aspetta.
E allora la domanda vera, oggi, è un’altra:
Per quanto ancora può andare avanti questa finzione, senza che qualcuno — Stato, ambasciata o Consiglio di Sicurezza — si decida a controllare il controllore?
Il Free Port e il Territorio Libero di Trieste non sono un’opinione. Sono atti, trattati, documenti parlamentari.
Esistono, e resistono.

Il Porto Franco internazionale di Trieste: area extraterritoriale e demilitarizzata stabilita dal Trattato di Pace del 1947.
Le domande non invecchiano.
Invecchia solo chi le elude —
e l’archivio non dimentica.
Tanto meno chi ne è formalmente garante.
– Alessandro Gombač –

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