Premessa: Nel 1920 una missione italiana, guidata da carabinieri e funzionari di Stato, penetrò a Vienna per “recuperare archivi”. Dietro il paravento della legalità, una razzia in piena regola: casseforti forzate, documenti sottratti, convogli diretti in Italia. Oggi lo chiameremmo furto di Stato. Allora, lo chiamarono diritto del vincitore.

Carabinieri italiani in uniforme d’epoca: nel 1920 varcarono le porte di Vienna non come liberatori, ma come esecutori materiali di una razzia camuffata da trattato.
Non fu una missione diplomatica. Non fu una restituzione di beni. Non fu nemmeno giustizia postbellica.
Fu una razzia. Con i carabinieri in prima linea, con ordini precisi, con i treni già pronti per il ritorno.
Vienna, 1920. Una città sfinita dalla fame, dalla sconfitta, dalla dissoluzione dell’Impero. Una capitale a cui restano solo i palazzi e gli archivi. E l’Italia, tra le potenze vincitrici, non si lascia sfuggire l’occasione. Manda i suoi uomini: ufficiali, burocrati, carabinieri. L’obiettivo è semplice: portare via quello che serve, quello che può valere, quello che racconta una storia che adesso è meglio conoscere.
Lo chiamano “trasferimento di fondi archivistici”. Ma la sostanza è ben altra. I carabinieri entrano negli archivi imperiali, aprono le serrature, forzano le casseforti, caricano tutto su treni blindati. Documenti catastali, notarili, mappe, registri. E forse altro ancora: manoscritti, opere d’arte, collezioni rare. Si prende e si porta via. Punto.
Gli storici italiani preferiscono parlarne poco. Gli austriaci ancora meno. La storiografia ufficiale la chiama “restituzione prevista dal Trattato di Saint-Germain” (art. 93). Ma chi c’era a Vienna lo sa: non fu una trattativa, fu una imposizione. E il bottino servì a legittimare l’occupazione delle nuove province: l’Alto Adige, il Trentino, Trieste e l’Istria.
Gli uomini della razzia
Tre nomi ricorrono nei documenti:
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Generale Roberto Segre, comandante della missione militare italiana a Vienna, diplomazia muscolare sotto uniforme.
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Giovan Battista Rossano, ispettore degli Archivi di Stato, il tecnico operativo, col compito di selezionare, impacchettare e spedire.
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Francesco Salata, storico e plenipotenziario per le “nuove province”, nazionalista raffinato, convinto che l’archivio sia un’arma politica tanto quanto una caserma.
A loro si deve l’organizzazione scientifica del saccheggio. In Italia li premiarono. In Austria li ricordarono con disprezzo.
Rimozione perfetta
Nessun tribunale, nessuna commissione d’inchiesta, nessuna restituzione. Anzi: i materiali prelevati a Vienna formarono la base degli Archivi di Stato di Trento e Bolzano. E rimasero in Italia. Come se nulla fosse. Come se fosse giusto.
La stampa italiana del tempo tacque. Quella austriaca urlò allo scandalo. Ma con che forza poteva urlare un paese ridotto alla fame, invaso dai debiti di guerra e disarmato?
Oggi, a distanza di un secolo, quella razzia è il modello di una strategia ricorrente: occupare, appropriarsi, archiviare. Trieste lo sa bene. Anche qui si impadronirono dei registri, dei trattati, degli statuti internazionali. Anche qui si fecero le valigie piene di carte e si disse che “è tutto in ordine”.

I palazzi imperiali di Vienna, saccheggiati senza sparare un colpo. Le casse forti si aprivano con le chiavi del diritto del vincitore.
Il saccheggio è legale. Basta avere la forza per farlo sembrare tale.
E la storia, finché non viene riscritta, resta una menzogna su carta intestata.
Chi erano
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Roberto Segre (1866–1957): generale dell’esercito italiano, guidò la Missione Militare Italiana a Vienna (1918–1920). Incaricato di supervisionare l’ordine pubblico e proteggere gli interessi italiani nei territori ex-asburgici.
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Giovan Battista Rossano (1873–1951): alto funzionario del Ministero dell’Interno, Ispettore generale degli Archivi di Stato. Supervisò personalmente il trasferimento forzato dei documenti da Vienna e Innsbruck.
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Francesco Salata (1876–1944): storico e politico irredentista, fu delegato italiano alla Conferenza di Pace di Parigi. Plenipotenziario per le Nuove Province, redattore del Libro Verde sull’annessione. Nazionalista, ma colto e sottile.
Fonti dirette consultabili:
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Trattato di Saint-Germain (1919) – art. 93 sulla cessione degli archivi:
👉 Link ufficiale in italiano (ISGREC) -
Ursula Romero, “Archivi e politica nell’Alto Adige fra le due guerre”:
👉 Articolo accademico bilingue (Geschichte und Region) -
Andrea Di Michele, “Occupazioni italiane nel primo dopoguerra”:
👉 Openstarts UniTS -
Leo Santifaller, “Gli archivi della provincia di Bolzano” (1928) – testimone diretto del trasferimento:
👉 [Estratto consultabile su JSTOR o biblioteche storiche] -
Articolo su “Il Porto di Trieste e i traffici verso l’Austria (1919–24)”:
👉 Openstarts UniTS – Studi storici triestiniAlessandro Gombač – per TRIEST NGO