Il nuovo rapporto della Defense Intelligence Agency statunitense (giugno 2025) descrive un mondo che assomiglia sempre meno all’ordine bipolare della Guerra Fredda, e sempre più a un sistema instabile, asimmetrico, fluido. Russia, Cina, Iran e Corea del Nord non formano un’alleanza organica, ma un sistema nervoso parallelo che distribuisce risorse, tecnologie e logistica su base opportunistica e flessibile. Una rete, non un blocco.
In questo contesto, le crepe contano più dei muri. E Trieste è una crepa giuridica, politica e logistica ancora aperta nel cuore del sistema euro-atlantico.
1. Punto di frizione fra mondi opposti
Trieste è storicamente una cerniera instabile tra Est e Ovest, tra diritto internazionale e realpolitik. Nel 1947 le potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale istituirono qui il Free Territory of Trieste (TLT), uno Stato indipendente sotto garanzia ONU, con porto franco internazionale e amministrazione separata dall’Italia.
Questa architettura legale non è mai stata smantellata formalmente. L’Italia ha ottenuto solo un’amministrazione civile provvisoria della Zona A nel 1954. Eppure, dal giorno dopo, ha cominciato ad agire come sovrana. Oggi, nel 2025, il diritto internazionale tace, ma non è stato cancellato: Trieste è ancora lì, giuridicamente attiva e vulnerabile.
2. Porto franco in un mondo di blocchi
Il Porto Franco internazionale di Trieste è un’anomalia normativa nel cuore dell’Unione Europea, tecnicamente ancora vincolato all’Annex VIII del Trattato di Pace del 1947. Mentre la DIA denuncia la creazione di reti logistiche parallele da parte della Russia e la penetrazione silenziosa cinese via BRI, Trieste è uno snodo che sfugge al controllo doganale europeo, potenzialmente utilizzabile per eludere embarghi o reindirizzare traffici sensibili.
Negli ultimi anni, è stata oggetto di interesse da parte cinese (memorandum BRI 2019) e resta strategicamente rilevante per i progetti americani nel Trimarium (Baltico-Adriatico). In uno scenario dominato dalla guerra commerciale e dalla logistica militare ibrida, Trieste è un asset che nessuno controlla pienamente ma tutti osservano.
3. Bussola per la delegittimazione dell’Occidente
L’Occidente ha costruito la propria legittimità sulla difesa del diritto internazionale. Ma Trieste rappresenta l’esatto opposto: un trattato multilaterale (quello del 1947) violato sistematicamente, una sovranità esercitata senza titolo, un porto internazionale trasformato in base NATO con la complicità del silenzio europeo.
Se una potenza revisionista — Russia? Cina? Serbia? — volesse denunciare l’ipocrisia dell’ordine occidentale, non dovrebbe far altro che riaprire la questione del Territorio Libero in sede ONU. La crepa si trasformerebbe in leva diplomatica, arma di propaganda, precedente giuridico per sfidare il sistema.
4. Cavallo di Troia nell’UE e nella NATO
Il riconoscimento de iure del TLT (o anche solo il suo rilancio giuridico internazionale) potrebbe aprire scenari inattesi: un’entità formalmente indipendente, neutrale, non NATO, con un porto franco internazionale in piena UE. Un “buco nero giuridico” con effetti potenzialmente dirompenti su traffici, giurisdizioni e sovranità.
Il riconoscimento de iure del Territorio Libero di Trieste potrebbe aprire scenari imprevedibili: un “nuovo Stato” europeo non appartenente né all’Unione né alla NATO, con un porto internazionale e un sistema doganale autonomo. In tempi normali sarebbe utopia; in tempi di guerra ibrida può diventare un esperimento destabilizzante o un precedente giuridico contagioso (vedi: Abkhazia, Transnistria, Kosovo, Donetsk…).
In tempi normali sarebbe utopia. Ma in un’epoca di guerra cognitiva e di destabilizzazione selettiva, il TLT può diventare un esperimento destabilizzante o un precedente contagioso. Non è un caso che la narrativa italiana sulla questione sia diventata sempre più nervosa.
5. Il caso Dassù: la crepa riconosciuta
Nel 2013, l’on. Aris Prodani presentò un’interrogazione parlamentare sullo status giuridico del TLT. La risposta del Vice Ministro degli Esteri Marta Dassù è significativa: ammette che il TLT non è mai stato istituito per via dell’impossibilità di nominare il Governatore ONU, e afferma che l’Italia esercita la sovranità sulla base dell’effettività. Non del diritto.
Una giustificazione fragile, che non reggerebbe a un contenzioso internazionale.
6. Crepa giuridica, leva logistica
Il porto di Trieste sta rafforzando il suo ruolo di snodo strategico per l’Europa centro-orientale, con un focus crescente sul mercato tedesco. Nel 2024 sono stati movimentati 2.500 treni, con una previsione di 2.800 per il 2025. La componente ferroviaria si intreccia con l’infrastruttura energetica: l’oleodotto TAL collega direttamente lo scalo giuliano alla Germania meridionale, rendendolo un asset chiave anche per l’approvvigionamento tedesco.
Ma dietro i numeri, si muovono interessi geopolitici divergenti. La presenza di HHLA (Amburgo) e Duisport (Renania) testimonia l’impegno tedesco nel consolidare il controllo logistico sul porto. Allo stesso tempo, l’area ex Aquila a Muggia è diventata oggetto di un maxi-progetto logistico di 70 ettari e 200 milioni di euro promosso dall’Ungheria tramite Adria-Port Zrt., con la Slovacchia pronta ad affiancarla.
A ciò si aggiunge la dimensione asiatica: HHLA, già attiva con capitali cinesi a casa propria, funge da interfaccia strategica — e ambigua — tra logiche BRI e interessi NATO. Trieste è ormai il teatro di una contesa silenziosa, ma concreta, tra visioni geopolitiche opposte. E il tutto si regge su una struttura giuridica che nessuno ha mai formalmente sanato.
Il Memorandum di Londra del 1954 e il Trattato di Osimo del 1975 non hanno mai annullato formalmente il Trattato di Pace del 1947, né coinvolto la popolazione del TLT. La stessa ONU non ha mai dichiarato estinto il Territorio Libero.
La crepa resta.