La verità effettiva del Memorandum di Londra, 71 anni dopo
Il 5 ottobre 1954 non è una data da museo. È una ferita ancora aperta nella storia europea.
Quel giorno, a Londra, quattro governi – Stati Uniti, Regno Unito, Italia e Jugoslavia – posero fine al governo militare nel Territorio Libero di Trieste.

Castello di Duino, 6 ottobre 1954. I generali Dabney, De Renzi e Winterton si stringono la mano dopo la firma del Memorandum di Londra: un passaggio di amministrazione provvisoria, non di sovranità. Una provvisorietà che, 71 anni dopo, resta ancora aperta.
Un accordo provvisorio, non un trattato di sovranità
Ma attenzione: non un trattato di sovranità, bensì un accordo amministrativo provvisorio, da notificare al Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
E infatti non lo firmarono né lo siglarono: lo parafarono.
Un gesto volutamente tecnico, per mantenere intatto il suo carattere temporaneo.
La provvisorietà – non la sovranità – fu l’unico vero obiettivo dell’operazione di Londra.
Oggi, 71 anni dopo, il linguaggio giuridico di quel Memorandum – soprattutto nella sua traduzione asseverata del 17 luglio 2013, ordinata dal giudice Paolo Vascotto – riemerge con una forza sorprendente.
E lo fa con una parola che cambia tutto: “ottemperanza.”
La parola che ribalta la storia: OTTEMPERANZA
Nel testo originale inglese, l’articolo 5 del Memorandum stabilisce che:
“The Italian Government undertakes to maintain the Free Port at Trieste in general accordance with the provisions of Annex VIII of the Peace Treaty with Italy.”
(UN Treaty Series, vol. 235, p. 111)
Per decenni, nelle traduzioni circolate in Italia, quella frase è stata resa così:
“Il Governo italiano s’impegna a mantenere il Porto Franco di Trieste in armonia con le disposizioni dell’Allegato VIII del Trattato di Pace con l’Italia.”
Una frase elegante, quasi lirica, ma giuridicamente svuotata.
“Armonia” non è un concetto legale: è un sentimento.
Significa “conformità generica”, non “obbligo vincolante”.
Il 17 luglio 2013, la traduzione asseverata del Tribunale di Trieste – ufficiale, giurata e depositata – ha finalmente rimesso le cose al loro posto:
“Il Governo italiano s’impegna a mantenere il Porto Franco di Trieste in ottemperanza delle disposizioni degli articoli da 1 a 20 dell’Allegato VIII del Trattato di Pace con l’Italia.”
Una parola. Una rivoluzione.
“Ottemperanza” significa adempimento di un obbligo legale.
Non lascia spazi poetici né ambiguità politiche: impone l’esecuzione fedele del Trattato di Pace del 1947.
Dunque:
- l’Italia non “armonizza” Trieste ai propri interessi nazionali,
- ma obbedisce a un mandato internazionale,
- e lo esercita come amministratore, non come sovrano.
Il Porto Franco: extraterritoriale, internazionale, vincolato al Trattato di Pace
L’Allegato VIII del Trattato di Pace con l’Italia (10 febbraio 1947) è chiarissimo:
il Porto Franco di Trieste è un’istituzione di diritto internazionale, accessibile a tutte le nazioni “su base di piena uguaglianza”.
Nessuno Stato, Italia inclusa, può imporvi la propria giurisdizione doganale, fiscale o militare.
Il Memorandum di Londra non abroga quel regime.
Al contrario, ne conferma l’esistenza e vincola l’Italia a mantenerlo in vigore in ottemperanza agli articoli 1–20 dell’Allegato VIII (UNTS vol. 235).
È per questo che lo status giuridico del Porto Franco – e dunque di Trieste stessa – rimane quello di un territorio internazionale, come ricordato anche in sede europea nel 2013:
«al di fuori della sovranità della Repubblica italiana.»
(Interrogazione con risposta scritta E-009793/2013)
Nessun atto successivo – né il Memorandum né il Trattato di Osimo del 1975 – ha cancellato o modificato formalmente quell’Allegato.
Il Porto Franco di Trieste resta tuttora registrato presso le Nazioni Unite come istituzione di diritto internazionale (Scheda UN Treaty Collection n. 3297).
Le autorità italiane, slovene e croate amministrano, ma non possiedono.
Sono custodi provvisorie di un regime che appartiene alla comunità internazionale.
Lo Statuto Speciale: l’obbligo mai adempiuto
Accanto al Porto Franco, il Memorandum prevedeva un secondo pilastro giuridico: lo Statuto Speciale per la tutela delle minoranze.
Non un optional, ma un obbligo immediato per Italia e Jugoslavia, che si impegnavano a:
- garantire la parità di diritti civili e politici ai rispettivi gruppi etnici;
- conservare tutte le scuole esistenti, senza poterle chiudere o modificarne il carattere linguistico senza consultare la commissione mista;
- vietare qualsiasi discriminazione o incitamento all’odio nazionale;
- e, soprattutto, negoziare un regolamento dettagliato per il funzionamento della Commissione mista.
Il punto è cruciale: il Memorandum imponeva l’avvio di uno Statuto Permanente.
Era la fase successiva logica e giuridica dell’accordo.
Eppure, nulla di tutto questo avvenne.
L’Italia e la Jugoslavia – e dopo di loro, Italia, Slovenia e Croazia – violarono sistematicamente quell’obbligo.
Lo Statuto Permanente del Territorio Libero di Trieste non nacque mai, e le garanzie internazionali rimasero sulla carta.
Ma il documento è ancora, anzi ora più che mai, valido.
Perché ciò che non fu revocato, in diritto internazionale, continua a produrre effetti.
“In general accordance” o “in ottemperanza”?
La differenza fra chi amministra e chi possiede
Le versioni “armoniose” del Memorandum servirono a costruire una favola diplomatica:
Trieste “ritorna all’Italia”, la Jugoslavia “ottiene la sua parte”, e il caso è chiuso.
Peccato che giuridicamente non sia mai stato così.
La traduzione asseverata del 2013 ha riaperto il coperchio:
i due governi non ricevettero la sovranità, ma solo l’amministrazione civile delle rispettive zone del Territorio Libero (Zona A e Zona B).
Un mandato amministrativo, da esercitare “in ottemperanza” al Trattato di Pace del 1947 (UNTS – art. 4 e 5).
Oggi le eredi di quei due Stati – Italia, Slovenia e Croazia – continuano a comportarsi da proprietari, ma giuridicamente non lo sono.
Il Memorandum di Londra, mai ratificato, fu solo parafato e rimane registrato alle Nazioni Unite come accordo provvisorio (FRUS – “Initialing … 5 Oct 1954” • UN Treaty Collection n. 3297).
Nessuna delle parti è mai stata riconosciuta sovrana sul Territorio Libero di Trieste.
La questione oggi: Trieste, nodo irrisolto dell’Europa

Trieste, nodo dei corridoi euro-mediterranei. Dal 1954 a oggi, la città resta il punto d’incrocio tra le rotte atlantiche e quelle euroasiatiche. Il Territorio Libero non è scomparso: si è spostato dalle carte diplomatiche alle mappe logistiche del XXI secolo.
Nel 2025, mentre l’Europa barcolla tra la Via della Seta cinese e i corridoi atlantici, Trieste torna al centro del gioco.
Il suo porto – extraterritoriale e smilitarizzato per diritto, “italianizzato” per convenienza – resta un’anomalia giuridica e strategica.
Un pezzo d’Europa fuori dai confini dello Stato italiano, ma mai pienamente restituito alla comunità internazionale che lo istituì.
In realtà, l’Italia a Trieste non applica nessun regime di zona franca: concede solo minimi benefici logistici sull’immagazzinaggio e concentra tutto nel falso “punto franco privato” della BAT. Il resto sono chiacchiere e distintivo.
L’Unione Europea lo ignora.
La Slovenia e la Croazia si comportano da eredi della Jugoslavia, ma non sono parti del Trattato di Pace.
Eppure, ogni 5 ottobre, la carta di Londra ci ricorda che Trieste non è “ritornata all’Italia”:
è rimasta sospesa nel diritto internazionale, in attesa di ottemperanza.
Conclusione: l’atto non concluso
Il Memorandum di Londra del 1954 non è un documento del passato.
È un atto non concluso, che impegna ancora oggi gli Stati firmatari – e i loro successori – a rispettare ciò che firmarono:
- un’amministrazione civile provvisoria,
- la tutela delle minoranze,
- il mantenimento del Porto Franco in ottemperanza al Trattato di Pace del 1947,
- e la nascita, mai avvenuta, dello Statuto Permanente del Territorio Libero di Trieste.
Trieste, 5 ottobre 2025.
Settantun anni dopo, la parola “ottemperanza” pesa ancora come un macigno.
Perché chi amministra in ottemperanza non è sovrano: è un fiduciario del diritto internazionale.
E il diritto internazionale – piaccia o no a Roma, Lubiana o Zagabria – non ha mai revocato il Territorio Libero di Trieste.

Porto e Territorio Libero di Trieste, 2025. Un mare di traffici e di ambiguità: il Porto Franco e il Territorio restano extraterritoriali per diritto, ma “italianizzati” per convenienza.
Documento d’archivio – Considerazioni preliminari sullo Statuto FVG (anni ’60)
Se il Memorandum di Londra del 1954 aveva lasciato Trieste sospesa nel diritto internazionale, il decennio successivo ne mostra le conseguenze dirette: la necessità di mascherare quel vuoto giuridico.
È in questo contesto che compare un documento d’archivio risalente ai primi anni Sessanta, redatto in preparazione dello Statuto regionale del Friuli Venezia Giulia.
Passaggio 1 (rosso)
“Si nota immediatamente come risulti completamente inesatta l’asserzione che il Territorio di Trieste sia ritornato alla piena sovranità italiana in seguito agli ‘Accordi di Londra’ (Memorandum d’Intesa del 5 ottobre 1954) mentre è, invece, vero che la sola amministrazione è passata, in tale occasione, dagli anglo-americani all’Italia.”
Sintesi argomentativa:
Qui non siamo davanti a un’opinione, ma a una confessione.
Lo Stato italiano sapeva benissimo che il Memorandum di Londra non aveva restituito Trieste all’Italia: la sovranità non è mai stata trasferita.
Nel 1954 passò soltanto il “manubrio” dell’amministrazione, lasciato dagli angloamericani nelle mani di Roma.
Tutta la retorica risorgimental/fascista del “ritorno alla Madrepatria” è spazzata via: il documento la definisce senza giri di parole “completamente inesatta”.
Tradotto: l’Italia non è mai diventata proprietaria della Zona A del Territorio Libero di Trieste.
Passaggio 2 (giallo)
“Ne consegue, pertanto, dal punto di vista giuridico, la possibilità dell’inclusione del territorio di Trieste nella costituenda Regione, immutata restando la situazione. Naturalmente sul piano internazionale le con l’attuazione di tale progetto viene a giustificazione l’attuale ordinamento speciale vigente nel territorio.”
Sintesi argomentativa:
Creare la Regione Friuli Venezia Giulia non risolveva il nodo: Trieste non era Italia e restava giuridicamente un’anomalia.
L’inclusione nello Statuto regionale fu quindi un trucco: una finzione giuridica, utile a simulare una normalità che non esisteva.
Gli stessi estensori ammettono che serviva una “giustificazione”: parola rivelatrice.
Ma la giustificazione era solo politica, non legale. Nessun titolo internazionale, nessun atto valido: pura scenografia costituzionale.
Conclusione tecnico-giuridica
Questo documento mette nero su bianco la verità che si è cercato di occultare: l’Italia non ha mai avuto sovranità sul Territorio Libero di Trieste.
L’inclusione nella Regione FVG è stata un espediente, un maquillage istituzionale per coprire un vuoto di legittimità.
Ma in diritto internazionale le finzioni non creano diritti: le finzioni si dissolvono, lasciando dietro di sé la prova dell’illegittimità.
Ecco perché questo testo d’archivio non è una semplice curiosità storica: è una pistola fumante contro la tesi italiana dell’annessione.
Conferma ancora nel 2025 che il TLT non è mai scomparso come soggetto giuridico distinto.
– Alessandro Gombač –