Premessa:
Nel cuore della Guerra Fredda, il Territorio Libero di Trieste — previsto dal Trattato di Pace del 1947 — venne progressivamente svuotato di significato e infine abbandonato. Ma non per limiti tecnici o ostacoli diplomatici: fu una decisione consapevole e politica degli Stati Uniti, come rivela Leonard Unger, alto funzionario del Dipartimento di Stato e protagonista diretto delle trattative.
In questa ricostruzione storica documentata e incalzante, le dichiarazioni rilasciate da Unger nel 1989 si intrecciano con la memoria critica di storici come Giampaolo Valdevit e Bogdan Novak, restituendo alla vicenda del TLT la sua profondità geopolitica e giuridica. Dalla nascita del progetto multilaterale alla sua silenziosa archiviazione, passando per le crisi del 1948 e del 1954, emerge il volto di una Trieste trasformata da ponte internazionale a pedina strategica.
Oggi, con il ritorno dell’Adriatico al centro delle rotte globali, la storia rimossa del TLT si riapre. E lo fa a partire proprio da quella voce — lucida, fredda, interna al sistema americano — che ammise tutto, senza infingimenti.
Leonard Unger, la voce del Dipartimento di Stato
Il Territorio Libero di Trieste (TLT) fu più di una clausola diplomatica: fu il tentativo, reale almeno nelle fasi iniziali, di istituire una zona neutrale e internazionale in un’Europa ancora in bilico tra Est e Ovest. Un porto libero incastonato nella Mitteleuropa, ultimo residuo dell’idea federale auspicata da Churchill a Teheran nel 1943. Non a caso, l’Unione Sovietica sostenne a lungo la sua realizzazione, vincolando il ritiro da Vienna all’entrata in funzione dello Statuto Permanente del TLT.
Ma la Storia, lo sappiamo, è spesso il luogo del tradimento delle idee. E lo testimonia, senza reticenze, Leonard Unger, funzionario di punta del Dipartimento di Stato, tra i protagonisti diretti delle trattative interalleate. Intervistato nel 1989 per il Foreign Affairs Oral History Project, Unger svela come il progetto del TLT fu progressivamente svuotato dall’interno, fino a divenire ciò che realmente fu: un cuscinetto geopolitico temporaneo tra Italia e Jugoslavia, sacrificato alla logica della Guerra Fredda e alle esigenze elettorali italiane del 1948.
1. La costruzione del TLT come soluzione neutrale (1946–1947)
Nel 1946, Unger è sul campo come esperto geografico per la Commissione alleata. Partecipa ai sopralluoghi nei territori contesi, ascolta le comunità, misura le distanze etniche, linguistiche, geostrategiche. La conclusione è brutale:
“The idea was to draw a line […] leaving the minimum of the other nationality on the ‘wrong’ side of the boundary.” “L’idea era quella di tracciare una linea […] lasciando il minimo possibile dell’altra nazionalità dal ‘lato sbagliato’ del confine.” — Leonard Unger
Ma la linea non si trovava. L’unica via praticabile sembrava quella di sottrarre l’intera area alla sovranità nazionale, e trasformarla in un Territorio Libero. Una soluzione tecnica, neutrale, e in teoria rispettosa delle diverse comunità. Il Trattato di Pace del 1947 sancisce questo progetto, e l’Unione Sovietica lo difende con fermezza, minacciando di non evacuare l’Austria fino alla sua piena attuazione.
2. Il colpo di grazia: 1948
Tutto cambia nella primavera del 1948. Gli USA temono che l’Italia possa scivolare nel blocco comunista. Le elezioni si avvicinano. Il TLT, da soluzione diplomatica multilaterale, diventa zavorra. È allora che si consuma l’atto decisivo: la Dichiarazione Tripartita del 20 marzo 1948, con cui USA, Regno Unito e Francia annunciano unilateralmente che la Zona A di Trieste dovrà tornare all’Italia.
“Once the declaration was made […] it was perfectly clear that a Free Territory of Trieste […] was not going to be realized.” “Una volta emessa la dichiarazione, fu perfettamente chiaro che il Territorio Libero di Trieste […] non sarebbe stato realizzato.” — Leonard Unger
“This declaration had considerable impact on the voters in Italy, reduced the pro-Communist vote, and Italy stayed with the West.” “Questa dichiarazione ebbe un impatto considerevole sugli elettori in Italia, ridusse il voto a favore dei comunisti e l’Italia rimase con l’Occidente.” — Leonard Unger
Contestualmente, il governatore militare britannico Sir Terence Airey rifiutò di concedere la cittadinanza del TLT agli abitanti della Zona A, sostenendo che spettasse al futuro Governatore. Futuro che non arrivò mai. Al contrario, gli jugoslavi concessero la cittadinanza del TLT nella Zona B già nel 1947, almeno per chiudere la porta a eventuali rivendicazioni italiane. Due approcci opposti. Due visioni divergenti di sovranità.
3. 1954: l’accordo segreto, la spartizione, l’oblio
Il Memorandum d’Intesa di Londra del 1954 sigilla il compromesso: Zona A all’Italia, Zona B alla Jugoslavia. Nessuna ratifica, nessuna modifica del Trattato di Pace, nessuna autorità giuridica internazionale coinvolta. Solo un fatto compiuto, nel silenzio degli archivi.
“It was recognized that Trieste would be a kind of economic monstrosity.”
— Leonard Unger
Il compromesso fu definito su una mappa dettagliata, come testimonia la documentazione diplomatica:
“Minor territorial details were worked out on a large-scale map by Thompson’s and Velebit’s assistants in London, Unger and Primozic.”
Eppure, sia Scelba che Tito evitarono accuratamente ogni riferimento alla “sovranità”. Si parlò solo di “estensione dell’amministrazione civile”, proprio per non violare il Trattato di Pace del 1947, che avrebbe richiesto una revisione multilaterale.
“Scelba […] used the phrase, ‘extension of civil administration’ in Zones A and B for Italy and Yugoslavia respectively, and avoided any reference to ‘sovereignty’.”
4. 1975: Osimo ratifica politicamente, ma non giuridicamente, il colpo del 1954
Nel Trattato di Osimo (1 ottobre 1975) Italia e Jugoslavia si spartiscono formalmente le due zone, rinunciando reciprocamente a ogni rivendicazione territoriale. Ma lo fanno senza passare per una revisione del Trattato di Pace del 1947 e senza coinvolgimento o approvazione dell’ONU. Si tratta, in sostanza, di una ratifica bilaterale politica di un fatto compiuto, già imposto nel 1954 con il Memorandum di Londra.
Lo ammette persino la documentazione diplomatica statunitense, parlando del Memorandum:
“The London Memorandum has the further effect of amending (albeit not formally) the clauses of the Italian Peace Treaty of 1946 which created the Free Territory of Trieste.”
Dunque: né il Memorandum di Londra né il Trattato di Osimo hanno mai modificato legalmente il Trattato di Pace. Hanno solo aggirato il diritto internazionale, lasciando in vita — almeno formalmente — lo status giuridico del Territorio Libero di Trieste.è mai stato formalmente abrogato**. Solo ignorato. E se il diritto internazionale ha ancora un senso, questa omissione continua a pesare.
5. Una questione ancora viva
Contro la narrazione dominante si sono levate voci consapevoli. Come quella di Bogdan Novak:
“Trieste potrebbe darsi che la popolazione voglia riaprire la questione, specie in caso di crisi economica italiana. Potrebbe guardare al retroterra, chiedere una maggiore autonomia o addirittura l’internazionalizzazione della città.”
— Bogdan Novak, “Trieste 1941–1954”
O quella di Giampaolo Valdevit:
“Trieste venne dunque a trovarsi in mezzo a due contrapposti atteggiamenti di provvisorietà, che finirono per imprigionarla. […] Resta perciò il dubbio che non sia bastata.”
— Valdevit, “Trieste 1953–1954”
E ancora, la sua potente metafora geologica:
“Il masso erratico scompare in quanto tale, ma qualche detrito lo lasciò, com’è ovvio a Trieste più che altrove. […] Qui anzi la provvisorietà diventò sedimento robusto della cultura politica cittadina, evolvendo poi in municipalismo […]. Resta perciò il dubbio che non sia bastata.”
Una metafora che non descrive solo il passato, ma anche il futuro possibile: Trieste come masso che può tornare a muoversi, spinta da nuove faglie geopolitiche e da un retroterra centro-europeo che torna a premere.
Conclusione: il ritorno di Trieste
Il Territorio Libero di Trieste non fu un inganno sin dall’inizio. Fu un progetto multilaterale reale, poi progressivamente smontato per convenienza geopolitica. Oggi, però, non è la nostalgia a riportarlo in superficie, ma la geografia e la logistica globale.
A restituire a Trieste il suo ruolo naturale non sarà il diritto, ma i fondali di 18 metri, la capacità di accogliere le nuove rotte commerciali eurasiatiche, e la necessità di accesso strategico per Ungheria, Slovacchia, Austria. Trieste torna a essere crocevia nella partita tra Belt and Road Initiative, Trimarium e Via del Cotone.
Trieste non è più cuscinetto. È di nuovo porta. E il dossier TLT, finora sepolto sotto ottanta anni di ambiguità, potrebbe tornare al centro. Non per revisionismo, ma per necessità storica e strategica.