«Trieste è per l’Austria ciò che Königsberg è per la Prussia»
— Friedrich Engels, 1887
Un porto tenuto in ostaggio
Slovacchia e Ungheria ringraziano. Ringraziano l’Italia per aver tenuto in ostaggio un porto internazionale come se fosse cosa sua. Ringraziano per aver tollerato che lo scalo più strategico dell’Alto Adriatico venisse gestito con il metro del condominio, tra politici locali, Authority e fondi europei. E ringraziano anche — inconsapevolmente — chi aveva già messo le carte in tavola più di dieci anni fa.
Ginevra 2015: la verità messa a verbale
Era il 24 giugno 2015. Ginevra, Palais Wilson, incontro a porte chiuse con la Commissione ONU per i diritti economici, sociali e culturali. TRIEST NGO presenta un dossier: Port Inquiry. Pagine fitte di fatti, numeri, norme internazionali. In quelle righe — rese pubbliche mesi dopo — si ricordava, nero su bianco, che il Porto Franco Internazionale di Trieste è tutt’altro che “italiano”, e che il suo accesso, secondo il diritto vigente, spetta agli Stati dell’Europa centro-orientale, Ungheria e Slovacchia comprese. Lo si diceva a chiare lettere, senza bisogno di bandiere o nazionalismi, ma con il linguaggio freddo della legalità internazionale.
Gli “indipendentisti”, derisi ieri, oggi (?)
Ma ancora prima, già dal 2012, c’era chi lo gridava in piazza. Gli “indipendentisti”, come li chiamavano. Gente che parlava di Territorio Libero, di trattati dimenticati, di sovranità sospesa. Quando gli è andata bene, li hanno derisi. Quando gli è andata male, li hanno spernacchiati nei tribunali, tra accanimenti giudiziari, e condanne esemplari. Eppure, oggi, a distanza di anni, i fatti gli danno ragione. Peccato che nel frattempo il prezzo lo abbiano pagato solo loro.
I fatti del 2025: “Trieste è il nostro porto”

“Trieste sarà il porto dell’Ungheria” Péter Szijjártó, ministro degli Esteri ungherese – 2019. Nella foto: un’immagine d’archivio dell’Adria Terminal di Trieste.
Oggi, nel maggio 2025, i Paesi centro-europei si presentano in casa nostra — che tanto nostra non è — e dicono apertamente: Trieste è il nostro porto. Lo afferma il presidente della Repubblica slovacca Peter Pellegrini, celebrando i 500 treni che nel solo 2024 hanno percorso la tratta Trieste-Bratislava. Lo ripetono gli ungheresi con il progetto Adria Port: 34 ettari di nuovo terminal a Muggia, 650 metri di banchine, 200 milioni di euro investiti. Non per fare beneficenza, ma per accedere al mare, al commercio globale, alle rotte euroasiatiche.
L’amministrazione italiana: un affitto, non una proprietà
L’Italia? Sta a guardare. Amministra ciò che non le appartiene, come se l’avesse ereditato per decreto. Invece è in affitto. Dal 1954, Roma gestisce la Zona A del Territorio Libero di Trieste in regime di amministrazione civile, come previsto dal Memorandum di Londra. Ma la proprietà — quella vera, giuridica — è un’altra storia. Lo sanno bene a Budapest e Bratislava, che stanno passando dalle parole agli atti, dagli accordi bilaterali ai binari veri. E lo sapeva anche chi quando, nel silenzio generale, depositava il Port Inquiry all’ONU.
Grant & Verdirame: obblighi internazionali ancora in vigore
E non erano soli. Nel 2015, a supporto giuridico di quella denuncia, arriva una perizia firmata da due esperti di diritto internazionale del calibro di Tom Grant e Guglielmo Verdirame, Cambridge e King’s College. Il punto è chiarissimo:
“Le disposizioni sul Porto Franco creavano obblighi dell’Italia nei confronti di diversi Stati (e, forse, anche nei confronti degli abitanti di Trieste) […] A differenza degli obblighi relativi all’apparato amministrativo, non c’è una spiegazione chiara di come questi obblighi sarebbero decaduti.”
Tradotto: l’Italia ha obblighi precisi, non solo verso l’ONU, ma verso tutti gli Stati che hanno diritto di usare il porto, oltreché verso i cittadini di Trieste. E nessuno ha mai formalmente revocato o superato quegli obblighi. Sono ancora lì. Più vivi che mai.
Trieste al centro delle nuove rotte euroasiatiche
Non c’era bisogno di aspettare la guerra in Ucraina, la Belt and Road cinese o il Trimarium americano per capire che Trieste è il nodo. Bastava guardare una mappa, o leggere il Trattato di Pace del 1947. Ma qui si è preferito ignorare, imbellettare, occupare. Oggi i treni partono lo stesso, ma ai triestini resta poco: l’illusione di contare qualcosa in un porto che serve tutti tranne loro.
L’unica strada: rimettere in chiaro le regole
Però una cosa resta da fare. Rimettere in chiaro le regole. Ricordare che il Porto Franco è di tutti gli Stati che ne hanno titolo, non di chi ci parcheggia sopra qualche poltrona. Se l’Italia vuole continuare a giocare la partita, che lo faccia da amministratore, non da padrone. Altrimenti, sarà la storia — e non qualche ONG — a presentare il conto.
Alessandro Gombač