Dodici imprese nel cosiddetto “Punto Franco Nuovo” del porto di Trieste avrebbero evaso 35.000 euro tra IMU e ILIA. Così dice il Meridiano di Trieste e Gorizia, citando un’operazione della Guardia di Finanza che punta a “rafforzare la legalità economico-finanziaria” sul litorale.

Porto Franco di Trieste: nato da un trattato, sequestrato dal fisco, rimosso dalla memoria. Ma la storia, prima o poi, presenta il conto.
Tutto giusto… se non fosse che la vera illegalità è a monte.
Articolo 5 dell’Allegato VIII al Trattato di Pace del 1947:
“Nel Porto Franco non saranno imposte tasse doganali, fiscali o di altro genere sulle merci in transito. I soli oneri ammessi sono quelli relativi ai servizi effettivamente resi.”
Chiarissimo. E vale ancora oggi.
Il Trattato di Pace – firmato dalle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale – non è mai stato modificato né abrogato. E tanto il Memorandum di Londra del 1954, che era solo un practical arrangement (un’intesa provvisoria, un gentleman’s agreement), quanto il Trattato di Osimo del 1975, un accordo bilaterale mai ratificato dalla ex Jugoslavia, non hanno alcun valore nel modificare il Trattato di Pace.
Anzi: entrambi gli accordi prevedevano espressamente il rispetto dei primi 20 articoli dell’Allegato VIII. Peccato che l’Allegato VIII ne abbia 26.
E quel che conta, giuridicamente, non sono le scorciatoie diplomatiche, ma il Trattato di Pace di Parigi del 10 febbraio 1947.
Quindi no: non dovrebbero esserci tasse italiane nel Porto Franco di Trieste.
Punto.
Ed è esattamente ciò che accade, invece: sudditi travestiti da contribuenti, costretti a versare imposte a uno Stato che non ha né titolo di sovranità né diritto di esigere tributi in questa zona.
Senza andare giù troppo duro – non siamo Gaza, e nessuno qui cerca martiri – vale la pena ricordare che Trieste, col suo “free port” e Territorio, era (è) stata destinata a essere un soggetto giuridico internazionale autonomo, distinto tanto dall’Italia quanto da quella che sarebbe poi diventata l’Unione Europea.
Un compromesso postbellico dopo una guerra da 60 milioni di morti, scatenata anche dall’Italia.
E invece oggi, a distanza di 80 anni, ci troviamo non figli di Roma, ma sudditi di un governatorato coloniale travestito da amministrazione ordinaria.
Come diceva Massimo Fini:
“Lo Stato non vuole cittadini. Vuole sudditi. Che paghino e stiano zitti.”
E Churchill, con il suo sarcasmo pesante come un’incudine, avrebbe aggiunto:
“Il prezzo della grandezza è la responsabilità.”
Ma c’è un dettaglio che molti si ostinano a ignorare: le situazioni artificiali, imposte col silenzio e l’inerzia, non durano per sempre.
Chi ieri dava per eterno il Muro di Berlino, oggi dà per scontato che nulla cambierà.
Peccato che viviamo in un mondo in cui, da un giorno all’altro, un presidente USA può invitare il presidente ucraino a bombardare Mosca.
E allora il punto è questo: non se cambierà. Ma quando.
– Alessandro Gombač –