“Tutte le opere strategiche sono anche militari.”
Edoardo Rixi, viceministro MIT, 9 luglio 2025
Il governo italiano ha trovato l’escamotage perfetto per gonfiare le spese militari senza dirlo apertamente: infilare i porti civili dentro il bilancio NATO. Da Genova ad Ancona, da Palermo a Monfalcone, fino – senza dirlo – a Trieste, le banchine diventano una riga di conto capitale nel nuovo obiettivo dell’Alleanza: 5 % del PIL per “difesa & sicurezza” entro il 2035 (3,5 % armi + 1,5 % infrastrutture dual‑use).

8 luglio 2025 – Porto di Trieste, Riva del Mandracchio: i pattugliatori tunisini P611 e P612 ormeggiano davanti all’ex Stazione Marittima, oggi sede congressuale e punto nevralgico della fascia turistica urbana. La loro presenza, mai comunicata ufficialmente, segnala l’uso crescente del porto civile di Trieste per finalità NATO, senza trasparenza né coinvolgimento dell’opinione pubblica. PS: non hanno coste più frequentate da pattugliare, i tunisini?
Non è un caso se il viceministro Edoardo Rixi parla ormai di “dual use” come chiave per sbloccare i fondi: «Le infrastrutture civili hanno applicazioni militari» – tradotto, i porti diventano basi retro‑frontiera pagate coi soldi di tutti.
1. Fondali che parlano da soli
Con i suoi 18‑22 m di profondità sotto banchina, Trieste è l’unico scalo all’ingresso del bacino balcanico‑danubiano capace di ospitare, senza dragaggio, perfino una portaerei nucleare (una Ford pesca 11 m). Altro che:
- – le sabbie mobili lagunari di Venezia (11‑12 m e draghe perpetue),
- – Monfalcone (9‑10 m. quando va bene con la bassa marea),
- – Koper/Capodistria (‑14/‑15 m ma solo con eterne raschiature cicliche).
La profondità non è un dettaglio: è l’assicurazione sul futuro ruolo militare dello scalo – e spiega l’ostinato silenzio ufficiale su Trieste.
2. Spese dual‑use: il trucco contabile
Alla ministeriale NATO di Washington, novembre 2024, nasce il nuovo paniere 5 %. L’Italia ci si è tuffata:
- – Porti, strade d’accesso, ferrovie “militarizzabili” spariscono dalla voce opere pubbliche e ricompaiono sotto «sicurezza».
- – A ciascun porto spunta la targhetta “Progetto NATO” – con buona pace di scuole e ospedali.
Rixi lo dice chiaro (9 luglio 2025): «Il dual use può portare nuovi finanziamenti dal riarmo Ue. Non diventeremo obiettivi sensibili, ma è bene essere pronti».
3. Rotterdam fa scuola
Non è solo Roma a giocare la carta. Il porto di Rotterdam – il più grande d’Europa – si prepara a un conflitto programmato con la Russia:
- – Riserva ormeggi a navi NATO.
- – Pianifica rotte di rifornimento e esercitazioni anfibie regolari.
- – Accumula scorte strategiche di petrolio, rame, litio, grafite.
- Così l’Olanda esegue la stessa partitura che l’Italia sta provando a Trieste & Co.: logistica militare embedded nelle infrastrutture civili.

Vista satellitare del porto di Trieste e della sua baia. Il perimetro in rosso individua l’area monitorata nell’ambito di attività tecnico-logistiche e ambientali. I punti rossi (B1–B7) indicano stazioni di controllo e sorveglianza. Un’infrastruttura civile in apparenza, ma strategicamente sorvegliata e predisposta per usi militari, nel cuore di un territorio giuridicamente anomalo e mai pienamente integrato.
4. Lo status giuridico dimenticato
Dal Trattato di Pace del 1947 Trieste è porto franco internazionale, territorio neutrale che molti hanno preferito ignorare, credendo fin dall’ottobre 1954 che non guardare l’elefante nella stanza – anzi, nel negozio di cristalli – potesse esorcizzare la questione di Trieste per sempre. L’Italia ne amministra la Zona A (1954), ma non ne detiene la sovranità. L’Allegato VIII – mai abrogato – garantisce libertà di accesso a tutti gli Stati, non solo ai membri NATO.
Usare Trieste come retrovia militare senza scioglierne il nodo legale significa violare quell’assetto. Altro che “urbanistica portuale”: è materia di diritto internazionale, e di possibile riapertura del dossier Trieste all’Assemblea Generale e/o al Consiglio di Sicurezza ONU, foss’anche solo a titolo provocatorio. Chi manovra queste partite sa bene che è meglio non nominare Trieste e il suo porto: anche solo accennare in sede ONU alla sua internazionalità innescherebbe una reazione a catena dagli esiti imprevedibili sia per la traballante amministrazione italiana sulla Zona A del TLT, quanto per la stabilità geopolitica del centro Europa.
5. La posta in gioco
Come scrisse Friedrich Engels nel 1887, Trieste resta “una Königsberg adriatica, perennemente contesa“. Se non si riconosce il suo status, la si riduce a:
- – Banchina militare di un alleato pro tempore;
- – Bersaglio strategico nel cuore dell’Adriatico.
Finché Trieste continuerà a essere ignorata nei comunicati ma inclusa nei piani NATO, non sarà mai libera.
Come ammoniva Carl Gustav Jung, “ciò che non affrontiamo nella coscienza riemerge nel destino.”
In assenza di una presa di coscienza pubblica e storica, Trieste agisce come un’Ombra geopolitica collettiva: latente, irrisolta, pronta a esplodere nel momento più inatteso.
I nostri fondali, la nostra posizione su una faglia geopolitica instabile e la nostra storia rimossa rischiano di trasformarsi – come una miscela acido-base – da patrimonio strategico a detonatore bellico.
Chi rimuove l’inaccettabile, prima o poi ne diventa vittima. La Storia non dimentica: si vendica.
– Alessandro Gombač –