Settantun anni dopo il Memorandum di Londra, Trieste celebra una bandiera aliena mentre affonda il suo porto.

La portaerei “Trieste” ormeggiata dinanzi a piazza Grande: celebrazione di guerra in un porto che, per l’Allegato VI, art. 3 del Trattato di Pace del 1947, doveva restare demilitarizzato e neutrale. Ma a Trieste la memoria è disarmata.
25 ottobre: la bandiera, la portaerei e il porto vuoto
Settantun anni fa, nel 1954, entrava in vigore il Memorandum di Londra.
A Roma lo chiamano ancora “il ritorno dell’Italia a Trieste”.
Ma in realtà l’Italia a Trieste non era più sovrana dal 10 settembre 1943, quando la città e il suo territorio, lasciati al loro destino dagli italo/fascisti – furono inclusi nella Zona d’operazioni del Litorale Adriatico (OZAK – Operationszone Adriatisches Küstenland), territorio annesso de facto alla Germania nazista. L’amministrazione civile passò ufficiosamente nelle mani del Supremo Commissario Friedrich Rainer già da quel giorno.
Oggi la città si prepara a celebrare l’ennesima rievocazione tricolore: il Comune — governato da una giunta che definire nazionalista è un eufemismo — consegnerà la bandiera di guerra alla portaerei “Trieste”, simbolo perfetto di un Paese che gioca a fare la potenza militare in un porto che si sta immiserendo, svuotato di traffici, di visione e perfino di respiro economico.
Mentre il gonfalone sfila sul molo San Carlo (Audace), i numeri del porto parlano da soli:
- a settembre il traffico container è crollato del 30% rispetto al 2024 (Trieste All News, 23 ottobre 2025);
- a fine anno, secondo ShipMag, si potrebbe scendere a 500.000 TEU, il livello più basso dell’ultimo decennio;
- nel frattempo, Macron firma a Capodistria un accordo con il colosso francese CMA CGM, assicurando alla Slovenia investimenti e traffici che un tempo toccavano Trieste.
Mentre a Trieste si festeggia un mito, a pochi chilometri di distanza si fanno affari veri.
Il porto franco internazionale, che avrebbe dovuto essere la chiave dello sviluppo, è stato trasformato in un recinto doganale e burocratico; e il “punto franco” è diventato un punto morto.
Il diritto dimenticato: cosa dice davvero il Memorandum
In questa farsa patriottica conviene ricordare i fatti, quelli scritti nei trattati — non nei comunicati del Comune.
Il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 non ha mai trasferito la sovranità su Trieste all’Italia.
Lo spiega in modo cristallino l’Expertise Grant–Verdirame (2015), redatta per la TRIEST NGO da due tra i massimi esperti internazionali di diritto pubblico: Thomas Grant (Cambridge) e Guglielmo Verdirame (King’s College London).
Ecco la loro sintesi, che vale più di cento parate militari:

Il Territorio Libero di Trieste, con le Zone A e B definite dal Trattato di Pace del 1947. Una realtà giuridica separata dall’Italia, mai abrogata né sostituita da alcun trattato.
Sintesi dell’Expertise Grant–Verdirame (2015)
Oggetto: analisi giuridica internazionale sulla validità del Trattato di Pace del 1947 e sullo status del Territorio Libero di Trieste (TLT).
Autori: Prof. Thomas Grant (Cambridge University) e Prof. Guglielmo Verdirame (King’s College London), entrambi esperti di diritto internazionale pubblico e contenzioso interstatale.
1️⃣ Il Territorio Libero di Trieste esiste ancora in diritto internazionale
- Il Trattato di Pace del 1947 crea formalmente e definitivamente il Territorio Libero di Trieste (artt. 21–22 e Allegati VI–X).
- Il TLT non fu mai abolito, né il Trattato di Pace è mai stato modificato dalle Parti firmatarie.
- Di conseguenza, la sovranità sul territorio non appartiene all’Italia, ma rimane separata, sotto la garanzia del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
2️⃣ Il Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954
- Non è un trattato internazionale, non trasferisce la sovranità e non modifica il Trattato di Pace.
- Stabilisce soltanto che l’amministrazione civile della Zona A del TLT viene affidata provvisoriamente all’Italia, e quella della Zona B alla Jugoslavia.
- Gli autori precisano: «L’Italia non ha mai ricevuto né posseduto alcun titolo di sovranità sulla Zona A del Territorio Libero di Trieste».
3️⃣ Conseguenze giuridiche
- Tutti gli atti di governo, legislativi o fiscali italiani applicati al TLT non hanno fondamento di legittimità internazionale.
- Il porto franco internazionale (Allegato VIII) non può essere modificato o assorbito da normative italiane o europee.
- Il Memorandum non autorizza l’Italia a rappresentare il TLT nei rapporti esterni.
4️⃣ Conclusione dell’expertise
- Il Territorio Libero di Trieste è uno Stato tuttora esistente nel diritto internazionale, privo di organi propri ma con una personalità giuridica separata dall’Italia e dalla Slovenia.
- Gli autori raccomandano che la questione venga affrontata in sede ONU o davanti a un organo arbitrale internazionale competente per i trattati multilaterali.
Perciò il Memorandum di Londra non fu un trattato di sovranità, ma un semplice mandato d’amministrazione civile. Tradotto: Roma governa, ma non possiede. E lo sa.
Ma c’è un altro punto che pochi ricordano, e che rende ancora più grottesca la parata di questi giorni: lo Statuto permanente del Territorio Libero di Trieste, contenuto nell’Allegato VI del Trattato di Pace del 1947, stabilisce in modo inequivocabile il principio della demilitarizzazione e neutralità del TLT.
Articolo 3 — Demilitarizzazione e neutralità
«Il Territorio Libero sarà demilitarizzato e dichiarato neutrale. Nessuna forza armata sarà autorizzata nel Territorio Libero, salvo in seguito a istruzioni del Consiglio di Sicurezza. Le formazioni, gli esercizi e le attività paramilitari saranno proibite entro i confini del Territorio Libero. Il Governo del Territorio Libero non concluderà né negozierà accordi o convenzioni militari con alcuno Stato.»Questo è il cuore dimenticato dello Statuto del TLT: un territorio che doveva essere demilitarizzato e neutrale, sottratto per sempre alle logiche di potenza e alle bandiere di guerra.
Celebrarne l’anniversario davanti a una portaerei significa calpestare non solo il diritto internazionale, ma anche lo spirito stesso del Trattato di Pace: Trieste non era nata per essere una base militare, ma un porto franco internazionale, pensato per lo sviluppo civile e commerciale dell’Europa centrale.
Il diritto allo sviluppo negato
A ricordare quanto questa “amministrazione italiana” sia contraria non solo al diritto ma anche allo sviluppo, ci sono le dichiarazioni presentate di persona dalla TRIEST NGO durante la 56ª sessione a porte chiuse del Comitato ONU per i Diritti Economici, Sociali e Culturali (CESCR) nel 2015:
“L’Italia, non applicando l’Allegato VIII del Trattato di Pace, impedisce lo sviluppo del Territorio Libero di Trieste e del suo retroterra centroeuropeo, lasciando in rovina il porto franco internazionale e l’intera zona franca.”
In altre parole: la negazione del diritto allo sviluppo di un piccolo Stato senza agricoltura, senza miniere e senza industria — ma con un porto destinato a servire l’Europa Centrale — è un crimine economico e politico.
Impedire a Trieste di crescere significa violare il diritto internazionale e colpire anche gli Stati che da quel porto dovrebbero trarre vantaggio commerciale e accesso al mare.
L’Ungheria se n’è accorta
Non a caso, l’Ungheria si è già mossa.
Rivendicando i propri diritti storici sul porto di Trieste — diritti riconosciuti proprio dall’Allegato VIII — Budapest si è presa i tre ettari e mezzo dell’area ex Aquila, ottenendone la concessione in regime di porto franco internazionale.
Non è stato un regalo dell’Italia, ma un atto di sovranità commerciale: l’Ungheria ha fatto valere i propri diritti sul “suo” porto di Trieste, come previsto dal Trattato di Pace.
Gli unici a non accorgersene, come sempre, sono gli italiani.
Eppure, settantun anni dopo, Trieste continua a essere trattata come un trofeo, non come un porto internazionale.
La città è diventata una cartolina da sventolare, una specie di Disneyland patriottica per autorità in cerca di applausi.
La giunta locale — che sfoggia retorica nazionalista e nostalgia d’epoca — consegna bandiere e riceve ammiragli, mentre il porto reale perde traffici, credibilità e respiro.

Piazza Grande durante una delle ultime cerimonie del “ritorno”: tricolori gonfi di vento, banda militare che non vede l’ora di andare a bere uno spritz e pubblico di dipendenti comunali precettati. Un’altra parata per convincersi Trieste che è italiana.
Il vero “ritorno”
La verità è che Trieste non è tornata all’Italia, ma l’Italia è tornata al nazionalismo da operetta.
Un paese che celebra con la banda militare un memorandum che non le ha mai dato nulla, mentre lascia marcire il suo porto più strategico, è un paese che ha perso non solo il diritto, ma anche la dignità.
Quest’anno, per coprire la crescente indifferenza della città, hanno dovuto organizzare la parata militare come una festa comandata:
dopo anni in cui neppure le scolaresche partecipavano più al “ritorno all’Italia”, si era deciso di riempire – si fa per dire – Piazza Grande (Unità) con il personale del Comune e della Prefettura, inquadrato davanti alla banda militare per evitare che la piazza apparisse desolatamente vuota.
Una coreografia triste per un anniversario ancora più triste: la celebrazione di un’occupazione chiamata “ritorno”.
Intanto, nel silenzio generale, qualcuno — a Est — potrebbe ricordarsi che esistono ancora documenti depositati all’ONU.
E quando li tireranno fuori, magari scopriremo che dietro la portaerei “Trieste” c’è solo una grande illusione d’acciaio: pesante, costosa, e vuota.
L’articolo si collega idealmente a quello pubblicato su TRIEST NGO il 5 ottobre, data della firma del Memorandum di Londra, che ne ricostruisce le origini e la portata giuridica internazionale.
– Alessandro Gombač –

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